Dalla mia esperienza poche aziende hanno quella che Rumelt definirebbe una buona strategia. Non importa se grandi o piccole, ogni tipo di azienda ha i suoi modi tipici di fallire in questo compito.
Le cattive strategie sono abbastanza facili da individuare, tipicamente ricalcano uno di questi schemi:
La lista della spesa
“Vogliamo aggiungere le funzionalità X, rifare l’app mobile e risolvere alcuni bug”
Ovvero una lista di cose che si vogliono fare, spesso più o meno scollegate tra di loro, frutto magari di compromessi più o meno maldestri tra i vari reparti… non è una strategia, non c’è niente che assicuri una coerenza verso un obiettivo, anche perchè non c’è neanche un obiettivo.
La lettera a Babbo Natale
“Vogliamo raggiungere il 10% di conversion rate e diminuire il costo di acquisizione”
È un desiderio condivisibile, ma in che modo pensi di ottenerlo? Cosa ti fa pensare di poterlo raggiungere? Davanti a tutte le alternative che si possono inventare per arrivare lì, quali stiamo escludendo e quali considerando?
Difficilmente aiuterà i tuoi dipendenti a capire cosa fare.
La raccolta di buzzword
“Vogliamo diventare il punto di riferimento customer-centric ed inclusivo per i millenials che vogliono fare viaggi esperienziali”
Una buona strategia per essere messa in pratica deve essere semplice e definita, una frase vaga con parole complesse (come tante vision aziendali) non serve a questo scopo. Le strategie composte con dei template tipo: Siamo una [tipo azienda] che aiuta [cliente target] a [fare qualcosa] ma [cosa ci differenzia] rientra in pieno in questa casistica.
E nel caso ve lo stiate domandando, “diventare punto di riferimento” non significa assolutamente nulla.
Ma allora com’è fatta invece una buona strategia?
Ha una diagnosi della situazione attuale che tiene conto del mercato
La tua strategia non può esistere senza tenere conto di quello che accade nel mondo, che non è una raccolta sterile di dati, ma una vera e propria interpretazione (quindi soggettiva) della situazione dell’azienda, delle sue difficoltà e dei suoi vantaggi competitivi. Oltre che della situazione del mercato attuale e di come ci aspettiamo evolva.Definisce una direzione che fa leva su un vantaggio competitivo per vincere la sfida attuale
Ovvero identificare il problema che si vuole affrontare (la sfida), e in che modo vogliamo affrontarlo (la direzione), tenendo conto dei nostri punti di forza (il vantaggio competitivo).Definisce delle azioni coerenti per andare in quella direzione
Scendiamo un po’ più nel pratico per definire concretamente parte dei filoni che crediamo ci aiuteranno a vincere la sfida.
Quindi per fare un esempio virtuoso, se mi immagino di essere un ecommerce di vino, potrebbe uscire qualcosa del genere:
“Quest’anno abbiamo venduto meno dello scorso, dalla nostra intepretazione il motivo principale è che l’inflazione sta riducendo il consumo regolare di alcoolici ai pasti. C’è però un interesse crescente nel mercato verso super alcolici di alta qualità, che per adesso non vendiamo.
Pensiamo che la nostra abilità nei social nework possa aiutarci a raggiungere il tipo di cliente più interessato a questo tipo di prodotti.
Per questo vogliamo produrre contenuti per far scoprire e apprezzare le caratteristiche di super alcolici premium, e modificare i costi delle spedizioni rendendo meno costoso l’acquisto anche di singole bottiglie di super alcolici premium.”
O se preferite un esempio nel mondo reale, tumblr ha pubblicato una strategia molto bella e aderente a questo schema.
Quando usare questo approccio?
Dalla mia esperienza funziona bene quando un’azienda è in evoluzione, nelle fasi iniziali prima del lancio invece è meno efficace.
Per approfondire questo tema ti suggerisco “Good Strategy / Bad Strategy”, o se preferisci facciamoci due chiacchere 🙂
Alla prossima!
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Sono Pietro Campagnano e come consulente strategico mi occupo di aiutare startup e piccole aziende a creare prodotti digitali.
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Standing ovation! I'm a big fan of Rumelt's "Good strategy, bad strategy"